martedì 28 settembre 2010

Gianfranco traditore e ladro di sogni.

Lo confesso: il mandante delle accuse a Fini sono io. Io e tutti quei ragazzi che hanno creduto nella destra, investendoci la vita. Noi, che possiamo comprendere i trasformismi, ma che non gli perdoneremo mai di aver svenduto i nostri sacrifici al "cognato"
Io so chi c’è dietro le carte che accusano Fini. So chi le ispira, conosco bene il mandante. Non c’entra affatto con Palazzo Chigi, i servizi segreti, il governo di Santa Lucia. È un ragazzo di quindici anni che si iscrisse alla Giovane Italia. Sognava un’Italia migliore, amava la tradizione quanto la ribellione, detestava l’arroganza dei contestatori almeno quanto la viltà dei moderati, e si sedette dalla parte del torto, per gusto aspro di libertà. Portava in piazza la bandiera tricolore, si emozionava per storie antiche e comizi infiammati, pensava che solo i maledetti potessero dire la verità.Quel ragazzo insieme ad altri coetanei fondò una sezione e ogni mese facevano la colletta per pagare tredicimila lire di affitto, più le spese di luce, acqua e attività. Si tassavano dalla loro paghetta ma era solo un acconto, erano disposti a dare la vita. Il ragazzo aveva vinto una ricca borsa di studio di ben 150mila lire all’anno e decise di spenderla tutta per comprare alla sezione un torchio e così esercitare la sua passione politica e anche di stampa. Passò giorni interi da militante, a scrivere, a stampare e diffondere volantini. E con lui i suoi inseparabili camerati, Precco, Martimeo, il Canemorto, e altri. Scuola politica di pomeriggio, volantini di sera, manifesti di notte, rischi di botte e ogni tanto pellegrinaggi in cerca di purezza con tricolori e fazzoletti al collo. Erano migliaia i ragazzi come lui. Ce ne furono alcuni che persero la vita, una trentina mi pare, ma non vuol ricordare i loro nomi; lo infastidiva il richiamo ai loro nomi nei comizi per strappare l’applauso o, peggio, alle elezioni per strappare voti. Perciò non li cita. Sa solo che uno di quei ragazzi poteva essere lui.È lui, il ragazzo di quindici anni, il vero mandante e ispiratore delle accuse a Fini. Non rivuole indietro i soldi che spese per il torchio, per mantenere la sezione, per comprare la colla. Furono ben spesi, ne va fiero. Non rivuole nemmeno gli anni perduti che nessuno del resto può restituirgli, le passioni bruciate di quel tempo. E nemmeno chiede che gli venga riconosciuto lo spreco di pensieri, energie, parole, opere e missioni che dedicò poi negli anni a quella «visione del mondo». Le idee furono buttate al vento ma è giusto così; è al vento che le idee si devono dare. Quell’etichetta gli restò addosso per tutta la vita, e gli costò non poco, ma seppe anche costruirvi sopra qualcosa. No, non chiede indietro giorni, giornali, libri, occasioni e tanto tanto altro ancora.Però quel che non sopporta è pensare che qualcuno, dopo aver buttato a mare le sue idee e i loro testimoni, dopo aver gettato nel cesso quelle bandiere e quei sacrifici, dopo aver dimenticato facce, vite, morti, storie, culture e pensieri, possa usare quel che resta di un patrimonio di fede e passione per i porci comodi suoi e del suo clan famigliare. Capisce tutto, cambiare idee, adeguarsi al proprio tempo, abiurare, rinnegare, perfino tradire. Non giustifica, ma capisce; non rispetta, ma accetta. È la politica, bellezza. E figuratevi se pensa che dovesse restare inchiodato alla fiamma su cui pure ha campato per tanto tempo. Però quel che non gli va giù è vedere quelle paghette di ragazzi che alla politica dettero solo e non ebbero niente, quei soldi arrotolati di poveracci che li sottraevano alle loro famiglie e venivano a dirlo orgogliosi, quelle pietose collette tra gente umile e onesta, per tenere in vita sezioni, finire in quel modo. Gente che risparmiava sulla benzina della propria Seicento per dare due soldi al partito che col tempo finirono inghiottiti in una Ferrari. Gente che ha lasciato alla Buona Causa il suo appartamento. Gente che sperava di vedere un giorno trionfare l’Idea, come diceva con fede grottesca e verace. E invece, Montecarlo, i Caraibi, due, tre partiti sciolti nel nulla, gioventù dissolte nell’acido. È questo che il ragazzo non può perdonare.Da Berlusconi il ragazzo non si aspettava nulla di eroico, e neanche da Bossi o da Casini. E nemmeno da Fini, tutto sommato. Capiva i tempi, i linguaggi e le esigenze mutate, le necessità della politica, il futuro... Poteva perfino trescare e finanziare la politica con schifose tangenti; ma giocare sulla pelle dei sogni, giocare sulla pelle dei poveri e dei ragazzini che per abitare i loro sogni si erano tolti i due soldi che avevano, no, non è accettabile. Attingere da quel salvadanaio di emarginate speranze è vergognoso; come vergognoso è lasciare col culo per terra tanta gente capace e fedele nei secoli, che ha dato l’anima al suo partito ed era ancora in attesa di uno spazio per loro, per favorire con appaltoni rapidi e milionari il suddetto clan famigliare. Lui non crede che il senso della vita sia, come dice Bocchino in un’intervista, «Cibo, sesso e viaggi» (si è scordato dei soldi).Il vero ispiratore e mandante dell’operazione è lui, quel ragazzo di quindici anni. Si chiama Marcello, ma potrebbe chiamarsi Pietrangelo o Marco. Non gl’interessa se Gianfrego debba dimettersi e andarsene all’estero, ai Caraibi o a Montecarlo, o continuare. Lo stufa questo interminabile grattaefini. È pronto a discutere le ragioni politiche, senza disprezzarle a priori. Sentiremo oggi le sue spiegazioni (ma perché un videomessaggio, non è mica Bin Laden). Però Fini non ha diritto di rubare i sogni di un ragazzo, di un vecchio, di un combattente. Non ha diritto di andarsi a svendere la loro dignità, i loro sacrifici, le loro idee. Non può sporcare quel motto di Pound che era il blasone di quei ragazzi; loro ci hanno rimesso davvero, lui ci ha guadagnato. Quel ragazzo ora chiede a Fini solo un piccolo sforzo, adattare lo slogan alla situazione reale e dire: se un uomo è disposto a svendere casa, o non vale niente la casa o non vale niente lui. E la casa valeva.

Marcello Veneziani

lunedì 27 settembre 2010

DOMANDE SULLA SANITA'

Tante, troppe volte ho scritto sulla sanità (essendo medico) anticipando quello che oggi tutti riconoscono: la sanità in Calabria può essere salvata solo facendo ricorso ad un miracolo.
Conoscendo le indiscusse capacità del nostro Governatore Scopelliti confido in questo miracolo. Ebbi a scrivere ironicamente, non molto tempo fa, “speriamo che la sanità in Calabria non cambi”.
Il motivo è che molti interessi si “annidano” nella sanità e molti sono coloro i quali professano amore verso il malato, mentre egoisticamente tutelano soltanto il proprio interesse.
Dicevo che solo un miracolo può salvare la sanità calabrese, ma se ci mettiamo un buon impegno possiamo evitare che questo miracolo si avveri
Dalle prime avvisaglie, sembra (ne sono certo) che stiamo andando in questa direzione: i soliti “furbastri” si sono attivati per far emergere quanto di negativo c’è nella sanità e per contestarne le scelte.
Et voilà come d’incanto salta fuori l’amore sviscerato per l’ammalato ed i “consigli disinteressati”, del sindacalista di turno, usati come “attacco preventivo”.
Strano che questi signori sino ad oggi non si siano accorti di nulla o, quanto meno, non vi abbiano messo cosi tale passione in passato. Conosco le risposte: le denunce alla corte dei conti, alla procura etc. etc.
Il sottoscritto promotore dell’iniziativa di un nuovo ospedale, che ha denunciato ripetutamente la mancanza di una medicina nucleare, le carenze in Radioterapia, i disservizi e gli “imboscamenti vari” non ha mai trovato al suo seguito questi illustri personaggi.
Non ho cambiato idea sulla sanità cosi come non ho cambiato idea su chi usa la sanità quale mezzo di “sostentamento”.
Vorrei ricordare alcune cose: il giorno in cui ho messo in evidenza le carenze della Radioterapia, dopo qualche giorno sul Quotidiano esce un articolo dove si afferma che il Servizio è perfetto (Sic!).
Dopo aver ripetutamente detto (da molto tempo) che è necessario la PET in Ospedale oggi qualcuno si ricorda dei malati con tumori che hanno bisogno la PET.
Chi era a conoscenza che le diagnosi di tumore in passato venivano dati dopo due mesi, ha fatto finta di non sapere (Avevo invitato in ospedale qualche giornalista: nulla) ma oggi si ricorda (stranamente) di chi soffre di patologia tumorale. Fortunatamente oggi la diagnosi si fa in cinque giorni all’Ospedale!
Malasanità: come mai non si dice che la perforazione di un’ansa intestinale è avvenuta in una nota ed efficiente struttura privata ?
Perché non si dice che molti pazienti operati in strutture private finiscono nel post-operatorio all’ospedale ?
Come mai ci si ricorda solo ora del Morelli, quando il sottoscritto ha sempre avanzato la proposta di farne un centro di onco-ematologia in quanto, il Morelli non è mai stato e mai potrà essere un ospedale ?
Come mai chi aveva il dovere di “vigilare” sugli imboscati non li ha denunciati prima ? Ecco che promuoviamo a caposala chi era dichiarato inabile al servizio di infermiere. Ed i sindacati che ruolo hanno avuto in tutto ciò ?. E potrei continuare all’infinito.
La risposta è semplice: “attacchi ad orologeria” da parte di chi, in netto contrasto con il Governatore, pur di non perdere privilegi vuole “indurlo” a più miti consigli.
Chi entra oggi in Ospedale si rende conto del cambiamento ad iniziare dalla pulizia e dall’organizzazione messa in atto: ben vengano alcuni trasferimenti dal Morelli ai Riuniti, ben venga l’accorpamento delle strutture che comportano una spesa doppia con stesse prestazioni.
Fortunatamente il Commissario dott. Bellinvia, da persona competente e qualificata, sta mettendo in atto delle soluzioni che comporteranno grandi vantaggi per la sanità reggina ed in linea con il programma di cambiamento. Comprendo che a più di uno questo dà fastidio e ne capisco le reazioni.
Per conoscenza, al di là di quanto denunciato, il controllo dei NAS (subito inviato) non ha evidenziato irregolarità rilevanti.
Purtroppo, oggi saremo in molti a pagare la “scellerata” gestione della sanità di questi ultimi dieci anni e, forse anche il cittadino dovrà rinunciare a qualche privilegio (vedi ospedale sotto casa): ma è l’unico modo per fare avvenire il miracolo.
Non crediamo a chi dà “consigli interessati” specie se inapplicabili.
Le scelte, coraggiose ed impopolari, possono solamente farli chi ha veramente a cuore l’interesse di riportare alla normalità la sanità in Calabria. Le persone che hanno “veramente” a cuore il problema devono sostenerle.
I ciarlatani, gli affaristi, gli opportunisti e quant’altro stiano rigorosamente alla larga.
So che questo non avverrà e dunque aspettiamoci altri attacchi che minano e frenano il cambiamento.
Antonio Nicolò – Capogruppo Pdl al Comune di Reggio-

lunedì 20 settembre 2010

Caro Governatore

Caro Governatore,
lasci che Le dica subito una cosa, senza mezzi termini o giri di parole.
Lo dirò in maniera chiara, diretta, ed al mio solito provocatoria, anche a costo di attirarmi le antipatie di molti: questa è una terra di cialtroni che merita soltanto di essere abbandonata a se stessa.
Mi scuserà per lo sfogo, ma sono amareggiato e indignato: amareggiato per l’aggressione e indignao per il comportamento di chi è a capo di simili proteste.
Una terra capace solo di insorgere quando (come è già successo) qualcuno ci dice chiaramente che non siamo in condizioni di saperci gestire e che siamo dei fannulloni.
Alla stessa maniera capace di indignarsi e di protestare, non appena qualcuno mette in atto dei tentativi per toglierci dalla “ merda “ in cui ci hanno costretti a vivere sino ad oggi.
Come si fa a non capire la gravità in cui versa la sanità ?
Non riesco a comprendere l’atteggiamento di quei manifestanti, che hanno commesso quella vile aggressione nei Suoi confronti, in quel di Cosenza. Così come non riesco a trovare un epiteto diverso da quello di “cialtroni” riferito a chi strumentalizza una “ scelta obbligata “ quale è quella della chiusura di alcuni ospedali. O forse dobbiamo continuare con la TAC imballata e deposta nel sottoscala ?
Gente che non rappresenta certamente noi medici ed operatori sanitari, che non può nemmeno rappresentare i cittadini, ne tantomeno i pazienti.
Conosco il Suo modo di operare fatto di scelte coraggiose e lungimiranti, la capacità decisionale e l’amore verso questa terra.
Li conosco per aver lavorato al Suo fianco per anni e, di questo, ne sono orgoglioso.
Riconosco in Lei una caratteristica che poche persone hanno: la voglia di riscatto e il desiderio di modificare questa nostra triste e misera condizione.
So perfettamente ( come lo sanno tutti ) che nella sanità non si può agire diversamente da come Lei sta facendo: è l’unico modo per “ tentare “ di riportare alla normalità il diritto alla salute.
Non molto tempo fa io scrissi testualmente: “ speriamo che la sanità in Calabria non cambi “.
Era un modo ironico per porre l’accento e per fare comprendere (ove ve ne fosse bisogno) che la sanità rappresenta il luogo dove ognuno ci “sguazza” e si “trastulla” oltre che arricchirsi.
Tanti, troppi sono gli interessi che ruotano attorno alla sanità.
Non solo interesse economico ma anche interesse a non lavorare, a mantenere privilegi, non migliorare, continuare a vivere facendo i propri comodi: anche se tutto ciò può comportare la fine della sanità.
Troppi privilegi e per molti, a discapito della povera gente e di chi è costretto a doversi curare in Calabria.
Confesso che questa reazione ( nonostante la mia scarsa considerazione verso i Calabresi ) comunque mi ha sorpreso: non pensavo si potesse arrivare a tanto.
Basta ! Si è superato ogni limite: non ci si ferma neanche se è a rischio la vita dei propri familiari.
Perché di questo si tratta: continuare come si è fatto sino ad oggi significa morire.
I quotidiani atti intimidatori nei Suoi confronti e questa ultima aggressione sono un segnale chiaro e preciso: c’è gente che ama vivere in questo disastro, in questa illegalità, in questo abbandono. Solo così possono più facilmente gestire i loro “ sporchi interessi “.
La gente onesta, coraggiosa, perbene e chi non vuole questo “ squallido sistema di vita “ deve ribellarsi, e lo deve fare al di là del colore politico e del ceto di appartenenza.
E’ ora di dire basta e di gridarlo con forza tutti insieme.
Non c’è altro modo di cambiare le cose in Calabria: scelte coraggiose e senso di responsabilità.
A Lei non mancano questi requisiti e sta agendo di conseguenza .
In precedenza, tutti hanno rinviato queste decisioni nella sanità perché scomode, impopolari e punitive
Punitive per i ladri, per i nullafacenti, per gli inetti che sono tanti.
Questi signori, ch appartengono ad una di queste categorie, dovrebbero vergognarsi come dovrebbe vergognarsi chi è loro complice o istigatore.
Questi “ squallidi personaggi” vanno isolati ed additati al pubblico ludibrio.
Noi Governatore saremo sempre al Suo fianco. Perché noi stiamo dalla parte delle persone perbene e che amano , nonostante tutto, questa terra.
Vada avanti ! La gente onesta, chi ha bisogno di curarsi, chi vuole il ripristino della legalità gliene sarà grato.
Antonio Nicolò – Capogruppo Pdl Comune di Reggio Calabria -

giovedì 16 settembre 2010

CIARLATANI GLOBALI

Chiacchiere !
Frasi “ preconfezionate “ pronto all’uso, da indossare come vestiti per ogni occasione e per ogni stagione.
Quello che conta sono i fatti e solamente i fatti. E’ di questo che la Calabria ha bisogno.
“ Ciarlatani globali “ mettetevi al lavoro e dimostrate con i fatti cosa volete fare e dove volete andare.
Finiamola di parlare di legalità quando operiamo nell’illegalità, finiamola di parlare di sostegno ai più deboli e bisognosi quando produciamo impoverimento e “ menefreghismo “ verso gli altri, finiamola di parlare di cultura se dimostriamo un imbarbarimento del nostro intelletto, e soprattutto finiamola di declamare “ sovraumane virtù “ quando cadiamo nelle bassezze più squallide.
Non servono le parole ma i fatti.
Specie in questa nostra terra abituata ed “ assuefatta “ dalle parole, che hanno ormai solo un “ effetto soporifero “ tanto da indurre all’afasia, alla mancanza di parole, i più.
Nei fatti tutto rimane fermo, immutabile con un andamento “oscillante “ tra l’esaltazione e la depressione: atteggiamento maniacale dunque.
Siamo intrappolati e prigionieri delle parole mentre i fatti languiscono o vengono utilizzati ad arte per mascherare, celare, mistificare.
Di quali “ fatti certi “ allora parliamo per essere sicuri di non sbagliarci nel giudizio ?
Di quelli che nel corso della nostra, seppur breve, vita abbiamo prodotto e che rappresentano la storia personale di ciascuno di noi.
Sono questi che determina ed identificano l’individuo e che ne possano presagire l’atteggiamento futuro di ciascuno di noi.
Dovrei tacere anche io per non dispiacere chi gioca con le parole.
Non dovrei, dunque, disturbare chi parla promettendo di fare fatti concreti ma che , alla fine, si rivelano solo “fatti propri “.
Che il disabile rimane prigioniero in casa, che l’ammalato non venga curato, che il disagio del cittadino aumenta a dismisura, che gli eventi meteorologici mettano a nudo un degrado nascosto che le difficoltà ad un quotidiano vivere sono sempre più crescenti: altro non sono questi che fatti.
E la politica cosa fa ? Che ruolo gioca in questi casi ? Il cittadino come si pone dinnanzi ai fatti ?
Queste e tante altre domande assillano la mia mente.
Le parole di questi giorni, in un momento in cui ci “ riscopriamo “ fedeli e cristiani: “ Il politico cristiano deve operare con spirito di servizio, evitando l’uso strumentale e personale del mandato popolare “.
I fatti dimostrano sempre il contrario di ciò che solennemente affermiamo !
Una crisi politica che ha messo a nudo quello che ormai è arcinoto a tutti: l’uso strumentale e personale del mandato popolare.
La Madonna illuminerà tutti ? Ho seri dubbi al riguardo.
Orbene, se è vero che siamo tutti così puri e casti, che abbiamo a cuore l’interesse della comunità, che ogni giorno operiamo nell’interesse della collettività, dimostriamolo con i fatti.
Ben vengano i fatti, anche da quelli che non solo non ne hanno mai fatto, ma che addirittura sono andati nella direzione opposta a quella giusta.
Dimostriamo da subito quell’amore sviscerato per il prossimo, di cui ognuno si dichiara esserne portatore, e quotidianamente facciamo fatti: con lealtà, con giustizia, con amore, con senso di rispetto e con umiltà.
Questo vale per tutti coloro che fanno politica, me compreso, e per coloro che credono di non farla: i cittadini.
Ciascuno di noi è chiamato nel suo agire ad interessarsi di ciò che avviene attorno a se.
L’ipocrisia, la malafede, la strumentalizzazione, il disinteresse, la critica fine a se non serve a migliorare nulla: anzi agevola chi delle parole ne fa un uso strumentale per fare fatti che nulla hanno a che vedere con l’interesse della collettività.
I giorni a venire dimostreranno se la Madonna ci avrà illuminato nel nostro cammino oppure siamo noi che siamo “ totalmente ciechi “.
Io spero che oltre ad essere ciechi non siamo pure sordi, e che anche questo mio invito costruttivo nell’interesse della nostra città e delle persone più deboli e bisognosi finisca per non essere ascoltato.

lunedì 6 settembre 2010

SI PUO' IMPARARE SOLO DAGLI ERRORI

Bene! Adesso che il “caso è chiuso “ (almeno così sembra nelle intenzioni) qualcuno dovrebbe chiedere scusa ai cittadini di Reggio.
Ed a farlo credo dobbiamo essere tutti.
Io sono il primo a farlo e spero che altri seguano la ruota!
Chiedo scusa ai cittadini di Reggio per le difficoltà che ne sono derivate da una crisi incomprensibile sino alla fine, anche per chi scrive.
Naturalmente alcuni atteggiamenti, alcune prese di posizioni vanno censurati e l’auspicio è che non si verificano più: almeno da parte di chi “sente” il peso della responsabilità del ruolo che ricopre.
Responsabilmente io chiedo scusa alla città.
Fermo restando che alcuni “ tristi personaggi ”, coinvolti nella faccenda, che di tutto si sono preoccupati tranne che dell’interesse ed il bene comune, tali rimangono e non potranno mai cambiare. A tutt’oggi molte “zone d’ombra” persistono nonostante la comparsa del sole ed a questo punto solo il tempo potrà chiarirli.
Non voglio puntare il dito contro nessuno, ma pensare che tutto finisca con un “volemose bene” ed andiamo avanti, nell’interesse della città, è estremamente riduttivo oltre che offensivo.
Da qui la necessità di un atto di umiltà: ammettere di avere sbagliato è meglio che non aver sbagliato. Solo dagli errori si può imparare. Spero che almeno in questo si è consapevoli.
Per il rispetto che la carica di consigliere, assessore e sindaco impone verso i cittadini è necessaria , oggi più che mai, la chiarezza ed i fatti coerenti che ne dovrebbero derivare.
Siamo tutti pronti ad ergerci a paladini e difensori della verità, quando poi della bugia ne facciamo la regola.
Le accuse mosse a questa Amministrazione sono sempre le stesse ed hanno sempre la stessa matrice politica e mistificatrice. Accuse che ad oggi non hanno avuto alcun riscontro: si è giocato con le parole, si sono strumentalizzate alcuni fatti e si è cercato di demonizzare l’operato di un Sindaco (Scopelliti) che era riuscito a dare un volto nuovo a Reggio: questi sono i fatti.
Io credo sia indispensabile non vanificare quanto si è prodotto in questi anni è continuare nella direzione già tracciata con senso di responsabilità e spirito di abnegazione.
La città ha bisogno di molte attenzioni e di molte risposte concrete.
Non possiamo pensare di risolvere tutto in poco tempo, ne tantomeno procedere con “il passo del gambero”: un passo avanti e due indietro.
Non ce lo possiamo permettere, la nostra realtà e la nostra condizione culturale, economica ed occupazionale, è peggiore di quella che nel resto dell’Italia.
Se è vero che abbiamo la voglia di riscattarci e di progredire cerchiamo di farlo anche differenziandoci dagli altri: la classe politica tutta chieda scusa agli elettori-cittadini, per quello che si poteva fare e non si è fatto, per non aver saputo interpretare il giusto ruolo del politico: è un primo atto concreto di umiltà.
E’ necessario un diverso e più moderno modo di ragionare, uno stile politico più sobrio e civile, un senso più profondo delle istituzioni, un attaccamento crescente ai valori della democrazia e della libertà.
Quale migliore occasione oggi noi abbiamo se non quella di chiedere scusa ai cittadini ? Nessuna, credo.
La responsabilità di qualunque cosa accada e che interessa una comunità va equamente distribuita: dal cittadino comune a chi è delegato ad occuparsi della crescita di una città. Nessuno è esente da colpe.
Debbo esprimere apprezzamento per alcuni giornalisti che hanno “stimolato”, ancor di più, in me questa riflessione con una critica, a volte feroce, ma comunque costruttiva.
Alla stessa maniera esprimo disprezzo per chi usa la comunicazione in maniera subdola ed interessata! Purtroppo ciò non aiuta alla crescita culturale anzi alimenta un disinteresse ed un senso di sfiducia nel cittadino. E’ questa una cosa estremamente grave!
Cosi come disprezzo, aprioristicamente, chi “strumentalmente” potrebbe usare questo mio scritto. Ha un solo significato ed è rivolto alle persone di buona volontà: dobbiamo insieme crescere e guardare al futuro di questa nostra terra.
Possiamo farlo se umilmente riconosciamo quando sbagliamo, se riusciamo ad “isolare” chi rema contro e se, con i gesti quotidiani, mettiamo anche un solo “piccolo mattoncino” per la costruzione della nostra terra.
Dobbiamo comprendere che il risultato dipende dal nostro corretto vivere quotidiano, superando le prove che ci sono riservate e concentrarsi sull’obiettivo: migliorare la nostra realtà