martedì 11 novembre 2008

MI DIPLOMO PURE IO !

Ci si mettono anche gli universitari a criticare la Riforma Gelmini. Roba da matti verrebbe da dire !E’ da una vita che si invoca una grande ed importante riforma nella scuola, perché anche il più asino di noi capisce che cosi non si può andare avanti, ed appena la si propone giù a contestarla.Si insiste a parlare di “fughe dei cervelli” quando paradossalmente assistiamo ad una “fuga dal cervello”.Il cervello mi sa che sono in molti ad averselo “bevuto” e principalmente certi universitari.Ma è cosi difficile da capire che cosi come sono i nostri atenei e le nostre scuole fanno schifo!E che mi dite delle “università telematiche” e delle “università fantasma” ?E che dire dei “Rettori a vita”, del fatto che la più alta percentuale di professori e ricercatori assunti, guarda caso, sono parenti di universitari che gestiscono solo potere? Altro che meritocrazia!Che ci sia un controllo serio di valutazione degli atenei (da gente seria!) e capiremo quanto siano dequalificate le nostre università.Sulla pelle dei giovani ci si marcia con le marce di protesta pilotate; sforniamo laureati/disperati che stentano, non a vincere un concorso (se lo sognano) ma, anche ad avere un semplice colloquio di lavoro.Ma è cosi difficile capire che il corpo rettori tende a tutelare i propri interessi?Piccola considerazione: da qui a pochi mesi avremo 7000 nuovi assunti a tempo indeterminato, tra professori e ricercatori, nell’università: altro scempio della sinistra!E’ cosi difficile da capire che una laurea oggi non ha nessun valore! E non lo ha per due semplici motivi.Il primo è che la laurea la prendiamo tutti ( è facile, fa trend, agevola la progressione di carriera etc. ), il secondo (consequenziale) è che abbiamo laureati con “ignoranza grassa” (anche il mio idraulico si è laureato in comunicazione pensando si trattasse di vasi comunicanti !).La soluzione a questo punto sarebbe di abolire il valore legale del titolo di studio.Non bisogna essere scienziati o laureati all’università di Harvard per capire che il sistema scuola dalle nostri parti è fallimentare.E’ tempo di “vacche magre”, anzi magrissime, e voler strumentalizzare una riforma per i propri interessi, per mantenere i “soliti privilegi”, per tutelare la casta dei professori è un grosso errore e spero che a capirlo siano almeno gli studenti e le famiglie.Fortunatamente il Governo non retrocede neanche di un millimetro (vedi esempio “munnezza Campania” per intenderci) e questa volta i sindacati, i compagni, gli “sfaticati” ed i “ciuchi”, avranno poco da protestare: non saranno ascoltati.Proviamo la sera, ognuno di noi, a recitare il “ mea culpa, mea maxima culpa” per il disastro che abbiamo accumulato in questi anni.Se le cose stanno cosi la colpa è anche di un sistema che di fatto ha proibito la bocciatura e che non seleziona gli studenti meritevoli.Lasciamo da parte le parole criptiche in burocratese stretto e diamo il senso di quello che è la scuola e l’università oggi: un pantano.Non sono cosi stupido da pensare che la scuola è da “buttare in toto”, perché esistono (anche) studenti che si sacrificano e si impegnano per ottenere un titolo di studio, come esistono professori capaci di insegnare e che vedono il loro lavoro come una missione.Una cosa è certa, allo stato attuale, questo sistema penalizza sia l’uno che gli altri.Ergo è ora di cambiare costi quel che costi !Non mi va di pensare che un giovane dopo aver sacrificato la propria gioventù si ritrovi con in mano una laurea che non gli servirà a nulla.Avanti i migliori.E questo vale per gli studenti cosi come per gli insegnanti.


Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale(RC)

lunedì 20 ottobre 2008

POPOLO BUE E STUDENTI ASINI

Nonostante tutto la sinistra continua ad ispirarmi tenerezza ed un filo di umana simpatia.
Non fosse altro per quella ingenuità, che continuano ad avere, nel credere che il popolo è bue e dunque conviene avere degli asini tra gli studenti (vedi dati statistici europei).
Non fosse altro perché, per loro il tempo si è fermato al ’68 e non riescono a togliersi di dosso l’”eskimo rivoluzionario” e l’inguaribile amore per la piazza, per i cortei musicali e festaioli, rissosi ed “a pugno chiuso”. In fondo a modo loro sono dei “nostalgici”.
Ispirano tenerezza perché, nonostante tutto, vivono uno psicodramma collettivo, mediante il quale danno libero sfogo ai sentimenti repressi.
Comprendo c’è ancora chi rimpiange quella epoca con rabbia e si emoziona solo al ricordo, mentre una “scossa elettrica” li fa sobbalzare al minimo accenno ad un rispetto delle regole e ad un richiamo al senso di responsabilità.
Che volete farci: rimangono giovani ed esplodono, perchè sono solo loro il gas del cambiamento e la potenza effervescente della società. Beati loro.
Da questo nasce la “protesta anti-Gelmini”. Mezzo a disposizione: la piazza.
Io mi sento un “matusa” (o forse lo sono sempre stato ed è per questo che mi trovo a Destra) e mentre loro vogliono cambiare il mondo io cerco, timidamente, di migliorarlo.
Ecco perché amo il “ritorno all’antico”, fatto di grembiule e di un “amorevole maestro” che mi segue nel mio percorso formativo e diventa un punto di riferimento in una società che sempre più ci relega nel nostro isolamento, in una società dove tutto è consentito e dove tutto è rinnegato: la fede, la patria, la famiglia, le tradizioni, l’ordine, la disciplina, il merito.
Una “società massificante” e “globalizzata” dove viene calpestato e “triturato” il più debole ed il meno furbo, dopo avergli fatto credere che tutto è semplice e dovuto.
E’ questa la società che ci ha consegnato il 68: vogliamo continuare ad essere protagonisti. E dobbiamo esserlo tutti: bravi ed asini, brutti e belli, capaci ed incapaci.
E per esserlo non conta se alla fine non abbiamo un “straccio di preparazione” o se dobbiamo “pagare il conto” per lo sperpero che facciamo.
Una laurea facile, un posto di lavoro per “bigollanare” e guai a chi ce lo tocca.
La nostra società scoppia ma non di salute. Siamo alla nemesi di una politica piccina e non lungimirante che ci ha consegnato una “società trasgressiva e bacchettona”.
Signori della sinistra (tenerezza a parte) dovreste vergognarvi, non per quello che avete fatto (diciamo errori di gioventù) ma per quello che vi apprestate a fare.
Insistere a richiamarci in piazza, alla “protesta comunque”, evocando lo “spirito devastante” della riforma Gelmini non fate altro che creare solo confusione.
Dico questo perché i tempi sono cambiati: anche i meno accorti si rendono conto che “soffriamo” un sistema che è pronto ad implodere.
Dico questo, perché un Governo come questo (centrodestra) non si ferma quando c’è di mezzo l’interesse degli Italiani. perché ha capito che “cincischiare” penalizza tutti e se stessi. Dunque non conviene.
Fatevi furbi (visto che vi piace la protesta): protestate per avere una scuola più efficiente di quella che il centrodestra vi propone, chiedete una maggiore selezione degli insegnanti, pretendete alunni più preparati, maggiore rigore, più serietà. Insomma siate per “pochi ma buoni”.
Lasciate perdere la piazza ed i proclami: il popolo bue ha capito che il fieno nella stalla è finito, che aver “aperto lo steccato” ha provocato solo danni e povertà.
Toglietevi l’eskimo verde militare (ormai fuori produzione), simbolo di proletariato, di controcultura ed indossate gli “umili panni” di chi vuole lottare si, ma per conquistarsi un posto nella società, perché ha fatto dei sacrifici e perché crede alla differenza e nella meritocrazia.
Volevate cambiare il mondo e non siete riusciti nemmeno a cambiare voi stessi.
La piazza vi aspetta ma voi non aspettatevi niente dalla piazza: è stufa ed ha già dato.


Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale-



domenica 25 maggio 2008

ANNO ZERO

Anno Zero. Non capisco, oggi, se è il titolo di una trasmissione televisiva oppure il momento cronologico in cui si trova la Regione Calabria.
Dopo aver visto la trasmissione di Michele Santoro, io come credo anche voi ho avuto un senso di vertigine, di smarrimento e di disorientamento.
Personalmente mi sono sentito come un cencio strizzato perché , a parte i momenti di magia ciarlatanesca e dell’evasione metafisica degli ospiti politici, lo spaccato che ne è venuto fuori ha certamente del drammatico.
Visto dal marciapiedi, con l’occhio dell’uomo della strada mi sono sentito un poveretto, una persona inutile, come non mai, e alla mercè di un manipolo di briganti e lazzaroni.
Qualcuno mi dava l’impressione del mago Houdini, in procinto di buttarsi a mare, mani e piedi incatenati.
Io ho realizzato con maggior chiarezza di avere le mani legate e forse anche i piedi.
Ho notato che i giovani di Locri hanno ancora la bocca libera (?) ed in qualche modo facevano da contraltare al vuoto ideologico e morale dei personaggi in ordine di apparizione.
Se la vita è teatro, come diceva Pirandello, è giusto che la gente si diverta a recitare una commedia.
Ma cosi non è, almeno in questo caso. Siamo nel reale, nel quotidiano.
E’ emersa una realtà amara, a detta di tutti, e cioè che la mafia e la politica sono sinonimi in questa terra.
I giornali e la televisione, quasi sempre, non raccontano la verità neanche per sbaglio ma questa volta abbiamo visto e sentito delle cose che sono indubitabili (ove ve ne fosse mai bisogno) e vere.
I soggetti che abbiamo visto, i politici, la gente che ha avuto qualcuno ammazzato, il contorno e gli scenari con relative scene, esistono.
Di cosa siamo stati spettatori inermi?
Di chi, come Zavettieri, certifica che il tentativo di essere ammazzato rientra nella logica di far prevalere una parte politica rispetto ad un’altra. Chi goffamente, come un viceministro, cerca di capovolgere con maestria i fatti per servirceli come un piatto digeribilissimo. Chi come Storace vede come unica soluzione (Sic!) di lasciare indicare al partito anche per le elezioni regionali l’eventuale rappresentante ( come se non bastassero i deputati e senatori già imposti dall’alto).
Per non parlare della gag comica di Crea.
In questa tragica realtà continuano ad appiopparci tisane e messaggi rassicuranti senza avere alcun rispetto del nostro apparato digerente.
Quando nella seduta comunale sul problema mafia ebbi a proporre di sottoporci tutti, volontariamente e per chiarezza verso chi ci ha votato, ad indagine patrimoniale (compresi assessori e dirigenti) è sceso il silenzio e si è fatto finta di non capire.
Ed allora viene in mente la Rupe Tarpea. Da buttare tutti giù !
Ti viene in mente che la politica dalle nostre parti merita di finire in un palchetto tra la tazza ed il bidet.
Ma questa trasmissione di Santoro nella sua crudezza , nella sua ironia confermano inquietudini e timori tra le persone per bene.
Le uniche cose serie le ho sentite dire ai ragazzi di Locri (si leggeva anche nei loro volti la sfiducia verso i politici) che stanno lavorando ad un programma serio e concreto per portare avanti le loro idee e la lotta contro la mafia.
Per noi è inutile nasconderci dietro le discussioni sterili, con il solo risultato di rendere più profonda la pozza nella quale siamo caduti e che non fanno altro che rendere sempre più manifeste le infermità e le debolezze della natura umana.
Alleanza Nazionale che ha sempre fatto della legalità la sua bandiera è assente, ingessata, proiettata verso il Ppe, giusto per dimenticare tutto ciò che apparteneva alla Destra. E’ li ferma che aspetta un taxi ed i suoi sostenitori si ritrovano con la disperazione di Diogene.

Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale

RIVOLTA DI REGGIO LUGLIO 70


Sono passati quasi quarant’anni dalla rivolta per Reggio Capoluogo.
Reggio non vuole dimenticare quei giorni e non vuole dimenticare principalmente i suoi morti. Gente, nobile ed umile al tempo stesso, che diedero quello che di più caro avevano (la vita) per la causa di Reggio.
A prescindere da ciò, se bisogna conservare la memoria di quella rivolta (è bisogna farlo) e se bisogna ricostruirne la Storia, due punti devono essere tenuti fermi.
Due punti fondamentali dai quali non si può e non si deve derogare:
A) La rivolta è stata spontanea, legittima ed all’inizio apartitica
B) La rivolta ha coinvolto l’intera cittadinanza reggina senza distinzione di sesso, età e ceto sociale.
Una città disposta a tutto pur di non vedere calpestata la propria dignità.
Reggio la città più antica, più grande ed importante della Calabria venne esautorata di un diritto naturale: il capoluogo.
Ritengo giusto che, nei racconti di quei giorni, debba emergere la rabbia dei reggini per l’ennesimo tradimento da parte della classe politica (durato sino alla fine e proseguito in seguito), la passione di chi ha lottato (sacrificando anche la propria vita) per un sacrosanto diritto e per qualcosa in cui credeva: l’amore per la propria città ed il “tradimento” delle legittime aspettative di sviluppo e di progresso, di riscatto sociale, economico e culturale.Non bisogna dimenticare che è stata l’arroganza di tre potenti politici calabresi, il socialista Giacomo Mancini ed i democristiani Misasi e Pucci che, all’epoca, ha determinato la scelta di voler affossare Reggio.
Quella di Reggio non fu una rivolta fascista, come venne frettolosamente bollata da tutta la stampa nazionale. Almeno all’inizio fu una rivolta popolare, del tutto spontanea e apartitica.
All’inizio vi è stato il “silenzio stampa” dei media nazionali e la “distanza politica” dalla rivolta da parte della sinistra (solo in itinere ha compreso l’errore). La destra in tale contesto, ragionevolmente e legittimamente, ha “affiancato” la rivolta del popolo reggino.
La “connotazione politica e mafiosa”, i “colpi di stato fantasma” che qualcuno, maldestramente, cerca di attribuire a quegli eventi sono soltanto dei tentativi di delegittimazione e di offesa per la città di Reggio, per i suoi cittadini e per i morti della rivolta.
Vi è stato sempre una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta, per non voler riconoscere che Reggio rivendicava il suo capoluogo, il desiderio di riscatto economico e sociale e la “dignita e la fierezza” di un popolo che ancora una volta veniva “offeso ed umiliato”.
L’altra strada che si è cercato di perseguire è stato l’oblio.
Una “guerra civile dimenticata”, cosi è stata definita con semplicità e spietatezza da Pier Paolo Pasolini.
Ma oggi, se la Storia deve insegnare qualcosa, dobbiamo essere consapevoli che il
14 Luglio 1970 è stato il giorno della rivolta di Reggio.
La rivolta di chi credeva e continua a credere nelle proprie radici, nell’amore per la propria terra, nella speranza di poter offrire un futuro ai propri figli, nel rispetto dei diritti come nell’osservanza dei doveri, nella dignità, nella lealtà della politica e nel proprio ruolo.
Riconoscere e ricordare cio è l’unica condizione che può rendere giustizia al popolo reggino e la speranza di costruire un futuro per questa città.

Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale