Sono passati quasi quarant’anni dalla rivolta per Reggio Capoluogo.
Reggio non vuole dimenticare quei giorni e non vuole dimenticare principalmente i suoi morti. Gente, nobile ed umile al tempo stesso, che diedero quello che di più caro avevano (la vita) per la causa di Reggio.
A prescindere da ciò, se bisogna conservare la memoria di quella rivolta (è bisogna farlo) e se bisogna ricostruirne la Storia, due punti devono essere tenuti fermi.
Due punti fondamentali dai quali non si può e non si deve derogare:
A) La rivolta è stata spontanea, legittima ed all’inizio apartitica
B) La rivolta ha coinvolto l’intera cittadinanza reggina senza distinzione di sesso, età e ceto sociale.
Una città disposta a tutto pur di non vedere calpestata la propria dignità.
Reggio la città più antica, più grande ed importante della Calabria venne esautorata di un diritto naturale: il capoluogo.
Ritengo giusto che, nei racconti di quei giorni, debba emergere la rabbia dei reggini per l’ennesimo tradimento da parte della classe politica (durato sino alla fine e proseguito in seguito), la passione di chi ha lottato (sacrificando anche la propria vita) per un sacrosanto diritto e per qualcosa in cui credeva: l’amore per la propria città ed il “tradimento” delle legittime aspettative di sviluppo e di progresso, di riscatto sociale, economico e culturale.Non bisogna dimenticare che è stata l’arroganza di tre potenti politici calabresi, il socialista Giacomo Mancini ed i democristiani Misasi e Pucci che, all’epoca, ha determinato la scelta di voler affossare Reggio.
Quella di Reggio non fu una rivolta fascista, come venne frettolosamente bollata da tutta la stampa nazionale. Almeno all’inizio fu una rivolta popolare, del tutto spontanea e apartitica.
All’inizio vi è stato il “silenzio stampa” dei media nazionali e la “distanza politica” dalla rivolta da parte della sinistra (solo in itinere ha compreso l’errore). La destra in tale contesto, ragionevolmente e legittimamente, ha “affiancato” la rivolta del popolo reggino.
La “connotazione politica e mafiosa”, i “colpi di stato fantasma” che qualcuno, maldestramente, cerca di attribuire a quegli eventi sono soltanto dei tentativi di delegittimazione e di offesa per la città di Reggio, per i suoi cittadini e per i morti della rivolta.
Vi è stato sempre una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta, per non voler riconoscere che Reggio rivendicava il suo capoluogo, il desiderio di riscatto economico e sociale e la “dignita e la fierezza” di un popolo che ancora una volta veniva “offeso ed umiliato”.
L’altra strada che si è cercato di perseguire è stato l’oblio.
Una “guerra civile dimenticata”, cosi è stata definita con semplicità e spietatezza da Pier Paolo Pasolini.
Ma oggi, se la Storia deve insegnare qualcosa, dobbiamo essere consapevoli che il
14 Luglio 1970 è stato il giorno della rivolta di Reggio.
La rivolta di chi credeva e continua a credere nelle proprie radici, nell’amore per la propria terra, nella speranza di poter offrire un futuro ai propri figli, nel rispetto dei diritti come nell’osservanza dei doveri, nella dignità, nella lealtà della politica e nel proprio ruolo.
Riconoscere e ricordare cio è l’unica condizione che può rendere giustizia al popolo reggino e la speranza di costruire un futuro per questa città.
Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale
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