Anno Zero. Non capisco, oggi, se è il titolo di una trasmissione televisiva oppure il momento cronologico in cui si trova la Regione Calabria.
Dopo aver visto la trasmissione di Michele Santoro, io come credo anche voi ho avuto un senso di vertigine, di smarrimento e di disorientamento.
Personalmente mi sono sentito come un cencio strizzato perché , a parte i momenti di magia ciarlatanesca e dell’evasione metafisica degli ospiti politici, lo spaccato che ne è venuto fuori ha certamente del drammatico.
Visto dal marciapiedi, con l’occhio dell’uomo della strada mi sono sentito un poveretto, una persona inutile, come non mai, e alla mercè di un manipolo di briganti e lazzaroni.
Qualcuno mi dava l’impressione del mago Houdini, in procinto di buttarsi a mare, mani e piedi incatenati.
Io ho realizzato con maggior chiarezza di avere le mani legate e forse anche i piedi.
Ho notato che i giovani di Locri hanno ancora la bocca libera (?) ed in qualche modo facevano da contraltare al vuoto ideologico e morale dei personaggi in ordine di apparizione.
Se la vita è teatro, come diceva Pirandello, è giusto che la gente si diverta a recitare una commedia.
Ma cosi non è, almeno in questo caso. Siamo nel reale, nel quotidiano.
E’ emersa una realtà amara, a detta di tutti, e cioè che la mafia e la politica sono sinonimi in questa terra.
I giornali e la televisione, quasi sempre, non raccontano la verità neanche per sbaglio ma questa volta abbiamo visto e sentito delle cose che sono indubitabili (ove ve ne fosse mai bisogno) e vere.
I soggetti che abbiamo visto, i politici, la gente che ha avuto qualcuno ammazzato, il contorno e gli scenari con relative scene, esistono.
Di cosa siamo stati spettatori inermi?
Di chi, come Zavettieri, certifica che il tentativo di essere ammazzato rientra nella logica di far prevalere una parte politica rispetto ad un’altra. Chi goffamente, come un viceministro, cerca di capovolgere con maestria i fatti per servirceli come un piatto digeribilissimo. Chi come Storace vede come unica soluzione (Sic!) di lasciare indicare al partito anche per le elezioni regionali l’eventuale rappresentante ( come se non bastassero i deputati e senatori già imposti dall’alto).
Per non parlare della gag comica di Crea.
In questa tragica realtà continuano ad appiopparci tisane e messaggi rassicuranti senza avere alcun rispetto del nostro apparato digerente.
Quando nella seduta comunale sul problema mafia ebbi a proporre di sottoporci tutti, volontariamente e per chiarezza verso chi ci ha votato, ad indagine patrimoniale (compresi assessori e dirigenti) è sceso il silenzio e si è fatto finta di non capire.
Ed allora viene in mente la Rupe Tarpea. Da buttare tutti giù !
Ti viene in mente che la politica dalle nostre parti merita di finire in un palchetto tra la tazza ed il bidet.
Ma questa trasmissione di Santoro nella sua crudezza , nella sua ironia confermano inquietudini e timori tra le persone per bene.
Le uniche cose serie le ho sentite dire ai ragazzi di Locri (si leggeva anche nei loro volti la sfiducia verso i politici) che stanno lavorando ad un programma serio e concreto per portare avanti le loro idee e la lotta contro la mafia.
Per noi è inutile nasconderci dietro le discussioni sterili, con il solo risultato di rendere più profonda la pozza nella quale siamo caduti e che non fanno altro che rendere sempre più manifeste le infermità e le debolezze della natura umana.
Alleanza Nazionale che ha sempre fatto della legalità la sua bandiera è assente, ingessata, proiettata verso il Ppe, giusto per dimenticare tutto ciò che apparteneva alla Destra. E’ li ferma che aspetta un taxi ed i suoi sostenitori si ritrovano con la disperazione di Diogene.
Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale
domenica 25 maggio 2008
RIVOLTA DI REGGIO LUGLIO 70
Sono passati quasi quarant’anni dalla rivolta per Reggio Capoluogo.
Reggio non vuole dimenticare quei giorni e non vuole dimenticare principalmente i suoi morti. Gente, nobile ed umile al tempo stesso, che diedero quello che di più caro avevano (la vita) per la causa di Reggio.
A prescindere da ciò, se bisogna conservare la memoria di quella rivolta (è bisogna farlo) e se bisogna ricostruirne la Storia, due punti devono essere tenuti fermi.
Due punti fondamentali dai quali non si può e non si deve derogare:
A) La rivolta è stata spontanea, legittima ed all’inizio apartitica
B) La rivolta ha coinvolto l’intera cittadinanza reggina senza distinzione di sesso, età e ceto sociale.
Una città disposta a tutto pur di non vedere calpestata la propria dignità.
Reggio la città più antica, più grande ed importante della Calabria venne esautorata di un diritto naturale: il capoluogo.
Ritengo giusto che, nei racconti di quei giorni, debba emergere la rabbia dei reggini per l’ennesimo tradimento da parte della classe politica (durato sino alla fine e proseguito in seguito), la passione di chi ha lottato (sacrificando anche la propria vita) per un sacrosanto diritto e per qualcosa in cui credeva: l’amore per la propria città ed il “tradimento” delle legittime aspettative di sviluppo e di progresso, di riscatto sociale, economico e culturale.Non bisogna dimenticare che è stata l’arroganza di tre potenti politici calabresi, il socialista Giacomo Mancini ed i democristiani Misasi e Pucci che, all’epoca, ha determinato la scelta di voler affossare Reggio.
Quella di Reggio non fu una rivolta fascista, come venne frettolosamente bollata da tutta la stampa nazionale. Almeno all’inizio fu una rivolta popolare, del tutto spontanea e apartitica.
All’inizio vi è stato il “silenzio stampa” dei media nazionali e la “distanza politica” dalla rivolta da parte della sinistra (solo in itinere ha compreso l’errore). La destra in tale contesto, ragionevolmente e legittimamente, ha “affiancato” la rivolta del popolo reggino.
La “connotazione politica e mafiosa”, i “colpi di stato fantasma” che qualcuno, maldestramente, cerca di attribuire a quegli eventi sono soltanto dei tentativi di delegittimazione e di offesa per la città di Reggio, per i suoi cittadini e per i morti della rivolta.
Vi è stato sempre una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta, per non voler riconoscere che Reggio rivendicava il suo capoluogo, il desiderio di riscatto economico e sociale e la “dignita e la fierezza” di un popolo che ancora una volta veniva “offeso ed umiliato”.
L’altra strada che si è cercato di perseguire è stato l’oblio.
Una “guerra civile dimenticata”, cosi è stata definita con semplicità e spietatezza da Pier Paolo Pasolini.
Ma oggi, se la Storia deve insegnare qualcosa, dobbiamo essere consapevoli che il
14 Luglio 1970 è stato il giorno della rivolta di Reggio.
La rivolta di chi credeva e continua a credere nelle proprie radici, nell’amore per la propria terra, nella speranza di poter offrire un futuro ai propri figli, nel rispetto dei diritti come nell’osservanza dei doveri, nella dignità, nella lealtà della politica e nel proprio ruolo.
Riconoscere e ricordare cio è l’unica condizione che può rendere giustizia al popolo reggino e la speranza di costruire un futuro per questa città.
Antonio Nicolò – Capogruppo di Alleanza Nazionale
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